Quando sono in viaggio il mio cervello viene tempestato da stimoli emotivi, culturali, gastronomici, sensoriali. Nell’inutile tentativo di immagazzinare il maggior numero possibile di informazioni, nei momenti di pausa la mia mente mi proietta il cortometraggio degli attimi topici della giornata, le immagini che mi hanno colpito, le frasi da ricordare, i sorrisi, i miei (immancabili) errori grammaticali. Rivivere quegli istanti mi affascina quasi quanto la loro inattesa comparsa.
Mosca è un calderone di volti e caratteri che mi propone ogni giorno combinazioni diverse, nuove persone con cui relazionarmi, dialoghi ancora da creare, frasi che aspettano di essere pronunciate. Da me. Da loro.
Ad ogni nuova amicizia vorrei premere il tasto FF>> per scoprire cosa ci succederà, quali saranno i nostri luoghi, che ricordi ci regalerà questo pezzo di vita insieme. E così immagino scenari possibili (ed altri un po’ meno probabili), conversazioni (e convinciamoci che possa essere in qualche modo utile a migliorare il mio russo), passeggiate, pic nic, che se solo l’Academy ne avesse lontanamente un’idea mi intitolerebbe l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Che poi lo so che comunque la realtà si inventerà qualcosa di così sorprendente da far sembrare i miei deliri mentali ridicoli pensierini messi in fila in un tema delle elementari.
Futuro, presente e passato si fondono nella fluidità di questi giorni incerti. Fast forward. Chiudo gli occhi e sono a Mosca tra sei mesi, ieri, fine agosto, l’autunno d’oro, il caldo di luglio, il disgelo.