Archivi del mese: luglio 2012

Fast forward

Quando sono in viaggio il mio cervello viene tempestato da stimoli emotivi, culturali, gastronomici, sensoriali. Nell’inutile tentativo di immagazzinare il maggior numero possibile di informazioni, nei momenti di pausa la mia mente mi proietta il cortometraggio degli attimi topici della giornata, le immagini che mi hanno colpito, le frasi da ricordare, i sorrisi, i miei (immancabili) errori grammaticali. Rivivere quegli istanti mi affascina quasi quanto la loro inattesa comparsa.

Mosca è un calderone di volti e caratteri che mi propone ogni giorno combinazioni diverse, nuove persone con cui relazionarmi, dialoghi ancora da creare, frasi che aspettano di essere pronunciate. Da me. Da loro.

Ad ogni nuova amicizia vorrei premere il tasto FF>> per scoprire cosa ci succederà, quali saranno i nostri luoghi, che ricordi ci regalerà questo pezzo di vita insieme. E così immagino scenari possibili (ed altri un po’ meno probabili), conversazioni (e convinciamoci che possa essere in qualche modo utile a migliorare il mio russo), passeggiate, pic nic, che se solo l’Academy ne avesse lontanamente un’idea mi intitolerebbe l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Che poi lo so che comunque la realtà si inventerà qualcosa di così sorprendente da far sembrare i miei deliri mentali ridicoli pensierini messi in fila in un tema delle elementari.

Futuro, presente e passato si fondono nella fluidità di questi giorni incerti. Fast forward. Chiudo gli occhi e sono a Mosca tra sei mesi, ieri, fine agosto, l’autunno d’oro, il caldo di luglio, il disgelo.

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Aggiungi un posto in macchina, ché c’è un amico in più

Con l’arrivo della stagione estiva Mosca si riempie di allegri sposini che, con amici e parenti sbronzi al seguito, vagano per i punti più panoramici della città per brindare e lasciarsi fotografare in pose improbabili. Caratteristica principale di questi pellegrinaggi è sicuramente la sobrietà. Basta dare un’occhiata alle auto.

Per spostarsi di quartiere in quartiere, gli sposi condividono il loro mezzo di locomozione con gli invitati. Una scelta, questa, che solo i più maliziosi attribuirebbero all’esigenza delle nuovi classi emergenti russe di ostentare l’illimitata disponibilità economica di cui dispongono. In realtà si tratta ovviamente di vera partecipazione alla questione ambientale, che tanto preoccupa la popolazione moscovita e più in generale quella russa.

Ecco l’ultimo grido in fatto di auto per matrimoni a Mosca:

La sobriété, c’est quoi?

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Mi spiega/dice/disegna/mima come arrivare a…?

Le nostre velleità artistiche hanno preso il sopravvento.

Vista l’incapacità del turista italiano medio di concentrarsi il tempo sufficiente a comprendere semplici indicazioni stradali, sempre più spesso dobbiamo cimentarci nella realizzazione di improbabili schizzi surrealisti, nella speranza che il linguaggio iconico sia più efficace delle parole.

Consapevole sin dall’asilo di essere tra coloro che “io, disegnare niente, ma coloro da dio, mai una sbavatura”, faccio appello alla genetica e cerco di scovare in me qualche traccia del patrimonio ingegneristico di mio padre. Con risultati piuttosto deludenti, bisogna ammetterlo.

Per esempio, quello che troveranno superati i tornelli della metropolitana, io glielo disegno così:

La metropolitana di Mosca, secondo Ale

Minimalista. Essenziale. Chiaro.

Se invece sto spiegando come raggiungere il ristorante russo più vicino all’hotel, in automatico mi partono le mani e inizio a comporre la topografia del quartiere:

Finding the Russian restaurant, according to Ale

Il problema è che questo tipo di sindrome degenera in maniera rapida e quasi incontrollabile, e in men che non si dica ti ritrovi a fare schizzi per qualsiasi cosa ti passi per la testa.

La Piccola Katy è già allo stadio avanzato:

Programma per il pomeriggio libero, bozze e studi preliminari ad opera della Piccola Katy

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Curre, curre, guagliò

Giorni di pioggia su Mosca (e sul resto della Russia, purtroppo).

Ieri attraversare la strada per arrivare in albergo è stata un’impresa di proporzioni epiche.

L’italica pulzella si appropinquava ad uscire dalla propria dimora moscovita per recarsi incontro agli inconsapevoli turisti che la attendevano nella stamberga russa, ignari dell’imminente scatenarsi di intemperie.

Recatasi dabbasso, l’ancella si interrogava sul da farsi rimirando con occhio vitreo le insaziabili saette che, con veemenza oltremodo inattesa, si riversavano sul suolo bagnato. Colto lo sguardo incerto della giovane fanciulla, sprovvista di ombrello e altresì di buon senso, l’impavido guardiano avanzò la sua proposta: senza ulteriore indugio l’avrebbe volentier accompagnata per passaggi sicuri fin dall’altro lato della fortezza, risparmiandole invero un buon tratto di strada in balìa della tempesta.

Ok, fine dell’estratto epico, perché sto diventando pesante e chi ha resistito fin qui ha il diritto di sapere come va a finire questa storia.

Il custode mi chiede dunque se voglio che mi accompagni attraverso i parcheggi dei seminterrati fino all’altro lato del palazzo, e me lo chiede stringendo in mano un grosso bastone, sicché c’è poco da rifiutare. Quando penso di essere ormai spacciata e vedo già la scientifica scattare foto del mio cadavere nel garage, arriviamo finalmente dal lato dell’edificio che dà sulle strisce pedonali che mi separano dall’hotel. Ok, sono quasi salva. Pochi passi sotto la pioggia battente e potrò ripararmi in albergo.

Beata innocenza. Il pericolo non viene dall’alto: il vero problema non è la pioggia, che pure cade senza sosta da quasi mezz’ora, ma il fiume in piena in cui si è trasformata la strada a sei corsie. Aspetto che il semaforo diventi verde, trattengo il respiro e inizio a correre più che posso. Ovvero sto quasi ferma. Per guadare la carreggiata impiego in tutto 20 secondi e, arrivata sull’altra sponda, trovo non so bene dove le forze per lanciarmi attraverso il cortile dell’hotel, e da lì dentro la reception. Dove ad aspettarmi trovo tutti i nostri clienti che mi guardano con la tenerezza che si potrebbe avere per un gatto storpio.

Mi trascino in bagno e fondo il motore dell’asciugamani elettrico nell’inutile tentativo di dare un senso ai miei capelli e un colore meno intenso ai miei vestiti.

Ancora bagnata fino alle mutande salgo al ristorante per elemosinare un caffè caldo e mi ritrovo derisa dalla manager, che confessa di aver assistito alla mia traversata e di aver anche chiamato il resto dello staff per godersi lo spettacolo dell’italiana pazza che crede di poter correre più veloce della pioggia.

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Senza fede

I moscoviti sono incuriositi dalle mie mani.

Premessa indispensabile a questo post è il fatto che di norma alla mia età in Russia si è sposati da un pezzo e si è già figliato almeno un paio di volte. Le eccezioni, in questo come in altri ambiti, non sono viste di buon occhio e comunque spesso trattate con diffidenza. Così ogni tanto sorprendo i miei interlocutori a fissare le mie dita alla ricerca di qualcosa che non riescono (e non riusciranno mai) a trovare.

Tra le domande sulle novità regalatemi dall’inverno romano, la più gettonata tra gli amici che lavorano nei vari hotel è stata: “Ti sei sposata?”. A cui non mancavano di aggiungere un incoraggiante “Sì?”.

– Ti sei sposata, sì?

– Ehm, no.

– Ah………………………………. Ma dimmi del lavoro…

Per non parlare della povera Lulu, che la settimana scorsa è stata rimproverata per mezz’ora da una delle nostre guide moscovite perché, alla veneranda età di 28 anni, non è ancora riuscita a farsi mettere l’anello al dito. L’ipotesi che si possa trattare di una scelta personale e consapevole ovviamente non è contemplata.

E io che mi ero illusa di aver assistito al delirio di un pazzoide quando, la scorsa estate, tornando a casa da lavoro un ragazzo mai visto prima mi aveva fermata per strada e, dopo aver attaccato discorso, mi aveva proposto di sposarlo alla terza domanda (N.B. Le prime due erano state “Come ti chiami?” e “Sei sposata?”).

Stamattina stavo chiacchierando con una delle cameriere dell’hotel, che mi aveva chiesto quale dolce italiano potesse cucinare al suo ragazzo. Non appena mi sono offerta di trascriverle la ricetta del mio rinomato tiramisù, lei ha iniziato a fissarmi le dita sospirando: “Che uomo fortunato tuo marito!” (la lingua, più veloce del cervello, si è lasciata sfuggire quelle parole prima che le sinapsi facessero contatto).

A quanto pare qui gli anelli sono più gettonati che tra Frodo e compagnia bella.

Saluti dalla Terra di Mezzo.

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