E alla fine è arrivato anche il giorno della partenza.
Per evitare la noia del volo diretto, i miei premurosi datori di lavoro decidono di farmi fare una tournée per l’Europa: del resto lo sanno tutti che, per arrivare da Roma a Mosca, passando per Zurigo si accorcia. Ma procediamo con ordine.
I miei genitori mi accompagnano all’aeroporto che sono ancora semi-incosciente (è praticamente l’alba), ma non mi lascio distrarre dal mio obiettivo: al check-in devo assolutamente nascondere il bagaglio a mano, che pesa quei buoni 4-5 kg in più rispetto al limite consentito. Lo abbandono, insieme a mia madre, a qualche banco di distanza da quello in cui effettuo il check-in. Sono lanciata e concentrata, e, per non tradire il nervosismo, mi intrattengo in chiacchiere inutili con la vecchietta (eh, sì, non tutte le hostess sono giovani e figaccione) che sta preparando la mia carta di imbarco. Senza dubbio una donna astuta, che, vedendo la mia spilla sulla borsa, mi fa: “Ah, Lei lavora per Emergency!”. Ma chi, io? Ti sembra che qualcuno sano di mente mi lascerebbe avvicinare a un malato? Rispondo con un sorriso diplomatico e con un: “No, sono solo una simpatizzante”.
Un abbraccio rapido ai miei (alla svelta, prima che entrambi si sciolgano in lacrime) e sono al controllo bagagli a mano. Il viaggio procede tranquillo fino a Zurigo, dormo poco e leggo quasi tutto il tempo.
Una volta giunta in terra svizzera mi precipito al gate per Mosca (alla faccia delle linee svizzere: abbiamo quasi 20 minuti di ritardo e la mia coincidenza parte di lì a poco) e prima di accorgermene sono in aereo. Come preannunciatomi dalla vecchietta, il volo per Mosca è al completo. Posto corridoio affianco a una coppia di russi di mezza età. Lei ha l’aplomb moscovita, nei suoi sandaletti estivi color oro indossati con sobri calzini di lana blu scuro. Tempo di decollare e si è già tolta le scarpe e messa comoda in posizione semisupina con la testa che pressa sulla mia spalla e le gambe poggiate sulla pancia (enorme) del marito.
È già passata un’ora di volo quando mi faccio coraggio e attacco discorso. Chiacchieriamo un po’ e a un certo punto la tipa mi fa: “So che stai ancora bevendo il caffè, ma ti dispiace se intanto do da mangiare al mio cane?”. La mia faccia deve avere un’espressione assurda, e lei, credendo che io non l’abbia capita in russo, mi ripete la frase in inglese. Quello che in realtà non ho capito è come pensi di poter sfamare il suo cane a Mosca stando in aereo. Me lo spiega subito: dalla borsa sotto il sedile estrae un cane-topo e gli avvicina il misto di latte condensato e caffè che ha appena finito di impastare. Nella mia testa un solo pensiero: IO HO PAURA DEI CANI! Ancora appanicata, inizio a tradurre a mente la frase, ma non ricordo quale caso regga il verbo бояться: sarà я боюсь собак??? Il dubbio mi attanaglia e l’ansia mi blocca la lingua, ma la tipa ha già rimesso il topo in borsa.
Il resto del viaggio me lo faccio con gli addominali in tensione e i piedi sollevati 10 cm da terra.