Archivi del mese: giugno 2012

Mille bolle castano ramato

Giorno libero! Il programma prevede una mattinata al parco Gor’kij insieme ad Anna e alla piccola Katy. Mi sveglio con un paio d’ore di ritardo rispetto alla tabella di marcia e trovo Anna che agonizza in preda al sonno sul divano in salotto, dove mi sta aspettando dalle 6.30 (ancora non si è abituata alla luce di queste settimane, in cui il tramonto è alle 22.50 e l’alba alle 3.40).

Tramonto su Sokol’niki. h. 22.35

Mi preparo in tempo record (soprattutto considerando l’inutilità dei miei riflessi mattutini) e butto in borsa gli ultimi acquisti fatti da Decathlon appositamente per il mio tempo libero moscovita: pallone, frisbee e… bolle di sapone! Sono orgogliosa del mio aplomb moscovita, mentre, indossati gli occhiali da sole, ci dirigiamo verso il parco. Il parco Gor’kij mi è sempre sembrato molto meno interessante e affascinante degli altri parchi pubblici della città, ma nell’ultimo anno è stato completamente trasformato: ora è molto più curato e ci sono un’infinità di sedute, lettini e sdraio completamente gratuiti, immersi nella pace e nel verde del lungomoscova.

Ci appropriamo di tre amache strepitose e iniziamo la nostra sessione settimanale di attività fisica. In realtà non è che un blando tentativo di placare la mia coscienza, che mi rimprovera quotidianamente di aver abbandonato lo sport da quando sono arrivata, un mese fa. Dopo grande e sentito sforzo fisico (ben 15 minuti di gioco costantemente interrotto da risate e battutine), ci concediamo il meritato riposo: sdraiate sui lettini ascoltiamo la meravigliosa voce di Anna, che ci intona qualche canzone mentre sui nostri volti si alternano nuvole e sole nel cielo di Mosca.

Bubbles!

Nel pomeriggio decido che è ora di cambiare colore ai miei capelli, o meglio che forse è il caso di intervenire prima che inizi ad assomigliare a Babbo Natale. Capatina al biomarket per acquisto tinta biologica. Di ritorno a casa mi cimento in un’autocolorazione il cui risultato si discosta di molto da quello previsto… Il castano ramato annunciato dalla scatola si è rivelato essere un rosso Pippi Calzelunghe sulla radice dei miei capelli. Ma sono talmente di buon umore che non mi dispiace poi nemmeno tanto.

Alle 19 incontro la mia amica ucraina Lena, con cui partecipo ad un’escursione sulla Mosca di Bulgakov, un itinerario nel centro della città che ripercorre i luoghi descritti nelle sue opere e si snoda attraverso le vie in cui lo scrittore visse di volta in volta assieme alla moglie di turno. La cosa che più adoro di Mosca è che ci vivono talmente tante persone che, ogni volta che penso che una cosa possa interessare solo a me e che mi ritroverò da sola, finisce che c’è una folla pronta a fare la stessa esperienza.

A degna conclusione della serata, cenetta russa, pel’meny, smetana… Ah, che giornata!!!

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Lucidità

Sveglia alle 6.45 di domenica mattina. Tornando a casa da lavoro, ieri sera ero quasi certa di addormentarmi camminando. Sono stramazzata sul letto distrutta e mi sono svegliata dopo nemmeno sei ore di sonno.

Finalmente la giornata può di nuovo iniziare con una doccia calda. Le tubature sono state ripulite per bene e noi torniamo a lavarci come si deve. Ma anziché svegliarmi, il calore sulla pelle tanto agognato in questi giorni mi assopisce di nuovo. A lavoro sono quasi in coma.

Di ritorno a casa faccio per spogliarmi e indossare la mia seconda pelle, la tuta inguardabile con cui mi aggiro per il nostro appartamento, e mi accorgo che… stamattina ho messo le mutande al rovescio. Sono senza speranze. Quando ho sonno non riesco nemmeno nelle attività essenziali.

Entro in salotto per raccontarlo alle altre e trovo Anna così:

Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?…

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Di calcare e bollitori

Stamattina doccia fredda. Letteralmente.

Per due settimane all’anno le case moscovite vengono sottoposte alle procedure di profilassi per ripulire le tubature dal calcare ed evitare così che esplodano nel freddo inverno russo. Due settimane senza acqua calda, con 30°C fuori dalla finestra e gli umori della stazione e dell’aeroporto ancorati ai vestiti.

Appena notato il cartello accanto all’ascensore che ci avvisava che i lavori avrebbero avuto inizio il 14 giugno, abbiamo organizzato un brain storming per vagliare le possibili soluzioni. Per riuscire a lavarci i capelli potremmo scaldare prima l’acqua nel bollitore elettrico… Con una treccia riuscirei a non lavarli per tre giorni… Magari in hotel ci prestano una camera per farci una doccia…

Con acrobazie e giochi d’equilibrio che nemmeno il Cirque du Soleil, ci barcameniamo tra vasca e lavabo, saliamo sulle punte, ci inginocchiamo per risciacquare, e scaldami l’acqua, e passami il bollitore, e reggimi l’asciugamano…

1 doccia = dolori muscolari x 3

Strumenti per la toletta moscovita

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Dagli all’untore

L’ho visto succedere un’infinità di volte, ma non credo che riuscirò mai a capire quale malsana logica incomprensibile agli stranieri possa esserci dietro un fenomeno del genere. Mi spiego.

A Mosca, come in ogni città dotata di metropolitana, si cerca di impedire che la gente usufruisca del trasporto pubblico senza provvedere prima al pagamento del biglietto. Fin qui tutto normale. Per farlo, si installano di solito tornelli o altri tipi di barriere che si aprono solo dopo che il viaggiatore abbia effettivamente comprovato l’acquisto del biglietto, magari obliterandolo. Ed è qui che iniziano le prime differenze. A Mosca in realtà non ci sono veri e propri tornelli, ma piuttosto dei passaggi obbligati, apparentemente innocui, dotati di un lettore ottico su cui il cliente deve poggiare la tessera elettronica che fa da biglietto. Per chi li conosce, questi passaggi non sono affatto complicati da aggirare. Basta sollevare le gambe facendosi leva con le braccia, superando così l’accurato sistema di spuntoni pensato per disincentivare l’illegalità. Se si attraversa il passaggio senza aver obliterato il biglietto, infatti, escono fuori di botto delle sbarre di metallo all’altezza degli stinchi che feriscono il malcapitato truffatore e attivano una specie di sirena che riecheggia per tutta la stazione. A quel punto arriva la guardia di turno. Se la mentalità russa funzionasse in maniera logica, questo sarebbe il momento in cui il controllore multerebbe il viaggiatore. Ma che fine farebbe la sana imprevedibilità russa che tanto amiamo? La guardia arriva, ma, anziché fermare il truffatore e scrivere una bella multa, si mette ad insultarlo gridandogli contro improperi e maledizioni sotto gli occhi dei passanti finché il tipo non sale sulla metro. Geniale. È così che si scoraggia l’illegalità! D’altra parte, se uno se ne sbatte di improvvisarsi Jury Chechi per non pagare un biglietto, vuoi che non se ne penta vedendosi insultato da una vecchietta pluricentenaria seduta su una sedia da cui non la sposterebbe nemmeno una valanga?

Così, mentre i Lupin metropolitani viaggiano gratuitamente su tutta la linea, i poveri turisti, incapaci di comprendere che il lettore ottico fosforescente serve ad obliterare il biglietto, vengono quotidianamente falciati e mutilati dagli implacabili tornelli moscoviti. E indovinate da chi vanno a lamentarsi…

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Asfaltami questo

Da qualche giorno si susseguono acquazzoni e schiarite, così, mentre cammino per strada, mi concentro sulla mappatura delle pozzanghere moscovite.

Uscendo per andare a lavoro, ieri mattina ho notato una voragine di circa 2×2 m che nella notte la pioggia aveva scavato proprio di fronte al nostro cancello. Evitandola con cura, ho proseguito imperterrita lungo il marciapiede. Circa due minuti più tardi, tornando indietro per recuperare dei documenti, mi si presenta davanti agli occhi questa scena: un furgone pieno di terra sta cercando di colmare la voragine con chili e chili di fanghiglia. E anche queste sono tecniche, penso sghignazzando, da buona figlia di ingegnere edile, mentre incrocio lo sguardo degli operai.

Quando torno a casa per pranzo il nuovo asfalto di fronte casa non si distingue nemmeno dal resto della strada e sembra essere lì da sempre. Grrrrrrr!

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L’occhio quasimodeo

Prima esperienza con la fauna moscovita. No, non mi riferisco ai piccioni, che pure ci sono e ti planano in testa a velocità supersonica. E nemmeno alle celebri pantegane russe. Anche se a pensarci bene ho visto un topolone che attraversava il marciapiede accanto al ristorante sotto casa proprio la sera del mio arrivo. Ok, allora Seconda esperienza con la fauna moscovita. Però peccato, come incipit era meglio l’altro.

Qualche giorno fa sono stata punta da quella che mia sorella, medico, ha definito una zanzara tigre filoputiniana. Risultato: negli hotel di Mosca si aggira un mostro dall’occhio gonfio e l’andatura incerta che ricorda vagamente il Quasimodo del Notre-Dame della Disney.

Occhio quasimodeo, dai più interpretato come unico caso al mondo di borsa sotto un solo occhio

La mia autostima ringrazia.

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Di come Ale divenne Anna

A due settimane dal mio arrivo sono finalmente dotata di propusk. Questo documento dal nome altisonante e vagamente obsoleto (letteralmente significa “lasciapassare”) non è altro che una tessera magnetica che serve a far aprire la porta a vetri per accedere al nostro palazzo. E in realtà è anche piuttosto superfluo, visto che accanto al lettore ottico c’è una tastiera numerica su cui si può digitare un codice d’accesso che porta allo stesso risultato: apriti sesamo!

Però non me la sono sentita di spiegare al custode che sono troppo pigra per tirar fuori la tessera dal portafoglio ogni volta che torno a casa e che comunque continuerò a digitare il codice anche soltanto per la semplice ragione che ci ho messo tre giorni a memorizzare la sequenza numerica. E così, come faccio sempre quando cerco di nascondere i miei pensieri, ho sorriso con 500 denti e accennato un gridolino euforico mentre mi consegnava il propusk.

Anna, che era con me, ha reagito in maniera identica, probabilmente per cortesia e per non farmi passare per un’italiana stramba. Mal comune mezzo gaudio.

Afferriamo i propusk, salutiamo il custode e ci avviciniamo agli ascensori, quando mi cade l’occhio sulla mia tessera: accanto alla mia foto fa bella mostra di sé il nome di Anna, mentre sulla sua svetta un tronfio “Aleksandra”. Crisi d’identità. Chi di noi è davvero chi? Che questi russi sappiano qualcosa che noi ancora ignoriamo? Mi sento una di quelle figurine che vendono in centro in cui, muovendole, alla faccia di Medvedev si sovrappone lentamente quella di Putin.

Giriamo i tacchi e torniamo dal nostro amicone. C’è un errore, gli spieghiamo. I nomi sono invertiti. Cioè, le foto sono invertite. Cioè, io non sono io, ma sono lei. Insomma, capito, no?

E arriva la lezione di cultura russa. Il tipo ci guarda tranquillo e, senza muovere nemmeno una molecola, sentenzia: “Che importa? Quello che conta è il numero della tessera, non il nome. Finché tu sei l’inquilina 538 e lei la 540 a nessuno interessa come vi chiamate”.

Così da oggi sarò 538. E già mi sento un po’ Terminator.

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Ti telefono o no?

È tempo di sfide per il mio russo sempre precario.

Non amo parlare in russo al telefono perché ho sempre paura che mi sfugga qualcosa, dato che non posso fissare le labbra dell’interlocutore con fare investigativo come mi succede di solito di persona. Devo ammettere però che gli eventi di ieri mi hanno resa orgogliosa di me stessa.

Abbiamo pagato la bolletta mensile per il collegamento internet, ma ovviamente il wifi non ne voleva sapere di funzionare, e così sono stata costretta a chiamare il numero di riferimento che ci avevano lasciato insieme al contratto. Compongo il numero e scopro che si tratta di un call center. Io già fatico a capire gli essere umani, figuriamoci le voci registrate. Sorprendentemente supero la barriera del primo filtro delle telefonate e, strano ma vero, riesco a parlare con un operatore. La telefonata è piena di numeri (che, per chi non lo sapesse, in russo sono una cosa terribile perché vanno declinati nei vari casi, proprio come sostantivi e aggettivi): c’è il numero del contratto, il nostro indirizzo, il numero del codice cliente… Ma io sono troppo colpita dalla mia capacità di interagire in maniera così disinvolta con l’operatore per andare nel panico per i numeri. Risultato: un minuto e mezzo di telefonata e sono riuscita a farci riattaccare internet. Sento il mio ego crescere in maniera smisurata.

Ma le prodezze tecnologico-linguistiche di oggi non finiscono qui.

In aeroporto devo occuparmi anche di capire dove sia il presidio consolare per il prolungamento straordinario dei visti. Chiedo al punto informazioni e la ragazza mi indica un citofono dall’altra parte della sala. Mi avvicino e vedo che accanto al citofono c’è una porta a vetri che dà su un ufficio. Entro, ma l’impiegata mi spiega che per la questione dei visti devo parlare proprio con il citofono. Di seguito intercettazione della conversazione intercorsa tra Ale e Mr Citofono in data 03.06.12:

Ale: Salve, avrei bisogno di alcune informazioni sul prolungamento dei visti. C’è qualcuno con cui posso parlare?

Mr C.: Parli pure.

Ale: …………………………….. Qui? [In sottofondo rumori di valigie, passanti, annunci aeroportuali] Ehm, ok. So che è possibile prolungare il visto in via straordinaria fino a tre giorni dalla scadenza dello stesso.

Mr C.: Vero.

Ale: E c’è una multa da pagare o qualcosa del genere?

Mr C.: Sì.

Ale: Allora torno qui il giorno della scadenza del visto insieme ai turisti.

Mr C.: Sì.

 

Non vedo l’ora che arrivi lunedì per conoscere di persona quel gran genio dell’eloquio di Mr C.!

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All you need is a new haircut!

Primo giorno libero della stagione. Arrivato giusto un attimo prima dell’esaurimento nervoso. Dopo una settimana a contatto coi turisti, ho voglia di qualcosa di 100% moscovita.

Vado al centro commerciale e mi dirigo spedita verso l’angolo parrucchiera (più che angolo, sarebbe più corretto chiamarlo corridoio, dato che siamo proprio al centro delle due file di negozi, arrampicate su poltrone dall’improbabile equilibrio di fronte a un gioco di specchi che nemmeno The Artist). Chiedo di sfogliare il catalogo delle trecce francesi e sfilano davanti ai miei occhi scatti di russe meravigliose con capelli da modelle. Io mi guardo allo specchio e faccio per andarmene ma la tipa mi ferma per chiedermi quale acconciatura ho scelto. Braccata. Indico la treccia più semplice, anche perché credo che la mia misera criniera non lasci molto spazio a composizioni avveniristiche, ma così ci faccio anche la figura della tirchia, dato che la treccia più semplice è anche quella meno costosa.

Mi metto comoda, convinta che la parrucchiera ne avrà per una buona mezz’ora, ma tempo 3 minuti ed è già tutto finito. 3 minuti che comprendono anche un minuto e mezzo in cui mi gira tutto attorno per controllare il lavoro e ricoprirmi di lacca. € 7,50 per 3 minuti scarsi di lavoro. Non male. Il risultato però mi piace un sacco. È perfino riuscita a far sembrare che i miei capelli abbiano un qualche tipo di volume. Massima stima.

Treccia mimetica per sembrare una moscovita D.O.C.

Esco dal centro commerciale supergasata. Mi sento Paolo Nutini mentre canta “Hey, I put my new shoes on and suddenly everything is right!”.

Salvo scoprire al mattino successivo che nella tradizione russa l’acconciatura con una sola treccia è per le donne appena maritate…

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